Nato a Catanzaro nel 1955, Umberto Falvo si colloca in quella generazione di artisti che ha saputo attraversare decenni di evoluzioni culturali mantenendo un dialogo incessante con la pittura. Formatosi al Liceo Artistico e successivamente all’Accademia di Belle Arti della sua città, dove ha frequentato il corso di pittura e la scuola libera del nudo, Falvo costruisce le basi della sua ricerca artistica su una relazione quasi istintiva con il disegno. La sua affermazione "Dipingo da sempre" racchiude una poetica che si alimenta di tempo, memoria e trasformazione, ponendo le fondamenta per un cammino creativo ricco e articolato.
Fin dalle sue prime esperienze artistiche, il gesto creativo per Falvo si traduce in un viaggio profondo e sfaccettato. Un itinerario che non procede linearmente, ma che si stratifica, ritorna sui suoi passi e si rigenera continuamente. La pittura, per Falvo, diventa narrazione: essa racconta ciò che è stato scoperto e prodotto nel corso degli anni, ma rappresenta anche un resoconto di un processo interiore in costante evoluzione, che sollecita risposte sempre nuove da un mondo in continuo cambiamento.
Inizialmente, Falvo affronta la pittura con un approccio descrittivo, ma col passare del tempo dirige la sua opera verso la scomposizione delle figure e degli oggetti. Non si tratta di una scomposizione cubista, analitica o rigorosamente strutturata; piuttosto, è un atto di dissacrazione della linea, un tentativo di liberare la forma dalla sua funzione prestabilita. In questo processo, l’artista rompe i confini tradizionali del segno, facendo emergere quello che appartiene a un territorio indistinto, quel "non visibile" che spesso sfugge alla percezione comune.
Questo gesto lo conduce verso una dimensione informale, concepita come accessibile soltanto attraverso l’apprendimento di “culture sottili”. Le “culture sottili” sono quelle conoscenze che non si limitano all’apparenza esteriore delle cose, ma si spingono a indagare la natura profonda della materia, della luce e dell’energia creativa. Per Falvo, la pratica artistica assume quindi un carattere quasi esoterico, dove il mistero della creazione si rivela attraverso l'intuizione e la sensibilità.
Nel pensiero di Falvo, il concetto di creazione pittorica si colora di tratti alchemici. La tela viene concepita come un laboratorio di trasformazione, un luogo dove il pensiero primordiale – l’idea stessa – si concretizza grazie a un alchimia di colori, diluenti, movimenti e gesti. Nulla avviene per caso: ogni singolo elemento dell'opera richiede equilibrio, armonia e quella luce interna che le consente di "respirare".
Proprio la luce si pone al centro della sua poetica. Essa non è semplicemente una condizione fisica, ma un’energia cosmica che genera visione, colore e presenza. Richiamando simbolicamente l’atto creativo della Genesi – la separazione della luce dalle tenebre – Falvo sostiene che il mondo nasce a colori, poiché luce e colore sono un’unità indefettibile. Studiare il colore, comprenderne le metamorfosi e le combinazioni infinite equivale quindi a avvicinarsi alla luce nella sua essenza più pura.
Per Falvo, la pittura diventa un incontro alchemico tra materia e coscienza: dal mescolarsi dei pigmenti emerge sempre un colore innovativo, una visione rinnovata, un mondo nuovo. Questa idea di trasformazione continua riflette il suo profondo rispetto per la varietà e la complessità dell'esperienza umana.
Fondamentale per il suo sviluppo artistico è stata la partecipazione a salotti culturali in varie città italiane. Qui, Falvo ha avuto l’opportunità di confrontarsi con personalità intellettuali di grande rilievo. Questo ambiente stimolante non solo lo arricchisce, ma lo spinge anche a coltivare una curiosità vivace, nutrendosi di letture, studi e conversazioni. Tale interazione non si limita a un mero accrescimento tecnico, ma porta a una consapevolezza profonda dell'azione culturale che guida ciascuna sua scelta artistica.
Questa dimensione dialogica, fatta di scambi e contaminazioni, gli consente di sviluppare una pittura che va oltre la ricerca formale, estendendosi alla sfera del pensiero, della riflessione e dell’idea. Falvo esplora così il ruolo dell’arte nel presente, interrogandosi sulle sue potenzialità e responsabilità.
Oggi, Falvo guarda al proprio percorso artistico con lucidità e senza nostalgia. Il passato non è un semplice ricordo da rivedere o correggere, ma rappresenta la base della sua identità artistica. Come lui stesso afferma: «Nella mia azione pittorica di oggi c’è tutto il mio ieri». Un ieri che si trasforma attraverso l’esperienza, la conoscenza e l’esercizio quotidiano dell'arte.
La sua attuale produzione artistica costituisce, quindi, la sintesi di tutto ciò che ha esplorato, vissuto e assimilato: un gesto che proviene dall’abitudine della mano, dalla consapevolezza della mente e dalla capacità, ora affinata, di far emergere la luce dalla materia informe.
Falvo è un artista che attraversa il territorio dell'arte come si attraversa un paesaggio interiore: con disciplina, curiosità e un profondo rispetto per il mistero dell’atto creativo. La sua opera è una continua metamorfosi, dove la luce – principio originario e destino finale – diventa il filo conduttore di un linguaggio che parla di energia, trasformazione e ricerca spirituale. È un percorso che non trova conclusione, ma si rinnova ogni volta che un colore incontra un altro colore, generando così un nuovo inizio.
Nato a Catanzaro nel 1955, ho frequentato il Liceo Artistico e successivamente l’Accademia di Belle Arti della mia città, seguendo ilcorso di pittura e la scuola libera del nudo. Dipingo da sempre: fin da bambino il disegno è stato il mio primo linguaggio, e negli anni questo gesto spontaneo si è trasformato in un viaggio continuo, un racconto che attraversa il tempo e la mia esperienza artistica. La pittura,per me, è un’immersione profonda nella ricerca di impulsi creativi che, alla luce delle conoscenze acquisite, devono trasformarsi in opera. Dopo una fase iniziale più descrittiva, la mia ricerca si è evoluta verso la scomposizione delle forme, non nel senso cubista, ma come dissacrazione delle linee, un processo necessario per giungere all’informale. Solo attraverso la conoscenza e la sensibilità maturata nel tempo, l’idea primordiale può prendere corpo e farsi materia pittorica. La tela — o qualunque altro supporto — è per me lo spazio pronto ad accogliere l’atto creativo, proiezione di un pensiero originario che trova forma grazie a un vero e proprio processo alchemico di trasformazione: nella fusione di colori, diluenti e gesti nasce l’opera, dove la materia informe diventa forma, colore e luce. Niente è lasciato al caso: ogni composizione deve trovare il suo equilibrio, respirare una luce propria. Come amo dire, “La luce è quell’energia cosmica che ci permette di vedere oltre il buio”. Per me il colore è luce e la luce è colore — due entità inseparabili, protagoniste sin dal primo atto creativo della Genesi, quando la luce venne separata dalle tenebre e il mondo apparve a colori. Conoscere la luce significa conoscere i colori, le loro sfumature, le combinazioni, le trasformazioni: i processi “alchemici” che li fanno mutare sotto i miei occhi. È così che il colore, unito ad un altro, diventa un colore nuovo. Fin da giovane ho avuto la fortuna di frequentare in tutta Italia salotti culturali e ambienti artistici animati da persone di grande spessore
intellettuale. Queste esperienze mi hanno arricchito, stimolando la curiosità, la lettura e lo studio, per evitare la banalità e dare alla mia pittura una consapevolezza
culturale profonda. Non rinnego nulla del mio percorso: ogni esperienza vissuta è parte integrante della mia azione pittorica di oggi. Tutto ciò che ero ieri vive
nel mio presente, trasformato da esperienza, esercizio, conoscenza e azione.
La Redazione
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